LE OLIMPIADI ANTICHE 2a PARTE TRA STORIA E LEGGENDA

MERCOLEDÌ 4 MAGGIO 1983
da “Il Veterano Sportivo” Maggio – Giugno 1983

LE OLIMPIADI ANTICHE 2a PARTE TRA STORIA E LEGGENDA

GUARDANDO LOS ANGELES TRA STORIA E LEGGENDA

Le origini dei Giochi Antichi descritti in questa seconda parte dal nostro socio Angelo Ciofi (Roma)

A questo proposito è rimasto famoso, ed è anche storicamente documentato, l’episodio di Kallipateira di Rodi appartenente alla famiglia dei Diagoridi che vantava nel proprio albero genealogico alcuni vincitori di Olimpiadi.
Sebbene maritata, essa si introdusse travestita da uomo nel sacro recinto in cui erano raccolti i partecipanti alla 94° Olimpiade, tra i quali era il figlio Pisonide, spacciandosi per un allenatore. Ma quando Pisonide vinse la gara, fu tale e tanto il suo entusiasmo di madre che nel saltare lo steccato dello stadio le si strapparono le vesti, sicché fu scoperta. Riconosciuta però in lei la madre di un vincitore olimpico le fu concessa la grazia ma da quel momento si stabilì che anche gli accompagnatori si presentassero allo stadio completamente nudi, così come gli atleti che partecipavano alle gare senza neppure i calzari. Questo a partire dalla 15° Olimpiade allorché un certo Orrhippos di Megara, come racconta Pausania, durante la corsa perse il perizoma (i calzoncini dell’epoca) e vinse continuando la corsa nudo. Convinti che a quel successo non fosse stato estraneo quel “nuovo modo di correre”, altri atleti si presentarono alle gare completamente nudi fino a che la cosa non divenne una regola.
Nelle prime olimpiadi le uniche gare erano quelle della “corsa a piedi” a cui solo nella 18° (708 a.C.) si aggiunsero la lotta e il pentathlon, nella 20° (688 a.C.) il pugilato; nella 25° la corsa delle quadrighe, nella 33° il terribile pancrazio e la corsa a cavallo ed infine nella 65° (520 a.C.) l’oplitodromo (corsa con le armi). Successivamente si aggiunsero delle competizioni non propriamente sportive come le gare di trombettieri, degli araldi, dei poeti ecc.
Le corse a piedi erano di tre tipi, la prima e la più antica era lo “stadion”. Era questa una gara di velocità che si svolgeva su di una distanza di m. 192,27 pari appunto alla lunghezza dello stadio.
In seguito venne aggiunto il “diaulos” pari al doppio dello stadion. Infine veniva la corsa che oggi si direbbe di mezzofondo, il “diaulichos”, che si svolgeva su di un percorso oscillante dai sette ai ventiquattro stadi cioè da metri 1345 a metri 4615. La partenza e l’arrivo erano contrassegnati da due file di pietre ed i concorrenti partivano al suono di uno strumento a fiato. Il pentathlon consisteva in cinque prove: corsa, salto in lungo, disco, giavellotto e lotta. Serviva quindi a selezionare l’atleta più completo dei Giochi.
La lotta era molto violenta. Non esistevano categorie ma solo una suddivisione tra giovani e adulti. Si iniziava in piedi e per vincere non era necessario mettere con le spalle a terra l’avversario come si richiede oggi ma atterrarlo almeno tre volte (triagmos), o costringerlo ad arrendersi, cosa che il malcapitato poteva fare alzando l’indice della mano. Era consentito prendere l’avversario alla gola e stringerlo fino a soffocarlo. Il vincitore era definito “anefedro” ma la più grande aspirazione per un lottatore era quella di vincere per rinuncia dell’avversario, perché intimorito, meritandosi così l’appellativo di “aconita” (cioè senza polvere). Anche il grande Platone si cimentò in questa violenta disciplina e, sembra, con notevole successo.
Il pugilato, anch’esso violento e sovente mortale si combatteva con stile ed abilità e grande merito era considerato vincere senza dare o ricevere colpi ma dominare l’avversario stroncandolo con un abile gioco di finte. Quando però arrivavano a segno, i colpi erano delle autentiche mazzate: i pugili infatti avevano le mani e l’avambraccio avvolti da strisce di cuoio rinforzate da lamine di piombo.
La prova più difficile era però il “pancrazio”, un misto di lotta e pugilato che sembra debba le sue origini alla necessità di por fine alle continue infrazioni cui davano luogo i lottatori che soleva­no spesso, nel furore della lotta, scambiarsi pugni. Era molto simile ma più bestiale del moderno catch. Basta pensare che una delle “mosse” più diffuse era quella di ficcare le dita negli occhi dell’avversario fino a farglieli uscire dalle orbite. Era consentito inoltre mordere  dare testate e persino continuare a calpestare ed infierire sull’avversario caduto a terra. I pancrazisti, strana delicatezza, combattevano a pugni nudi. Era comunque vietato, pena la squalifica, uccidere l’avversario. Coloro che praticavano questa specialità avevano un fisico particolarmente possente e si racconta che Milone di Crotone, certamente il più forte lottatore di quei tempi e vincitore di ben sei olimpiadi, prima dell’incontro soleva terrorizzare l’avversario annodandosi stretta sotto la gola una corda che, gonfiando i muscoli del collo, spezzava tra gli applausi del pubblico.
Le corse con i cavalli, che si svolgevano su bighe e quadrighe, erano anch’esse oltremodo pericolose. Si racconta che ad una corsa, su quaranta partenti  uno solo fosse giunto al traguardo. Il percorso era pari ad otto ippodromi cioè più di 13 chilometri. Un particolare curioso: veniva proclamato vincitore non il conduttore o il cavallo ma il suo proprietario e ciò spiega perché troviamo tra i vincitori di Olimpia anche donne come Kyniska di Sparta sorella del re Agesilao, il vincitore di Cheronea o storici personaggi come Alcibiade, Filippo II di Macedonia, l’imperatore Tiberio, il tiranno di Siracusa Cerone ed il grande condottiero romano Germani­co. Alla 211° Olimpiade partecipò di persona Nerone che vinse ben sei titoli: la gara degli araldi, quella dei tragedi e dei citaredi e tre equestri tra cui quella del cocchio a dieci puledri. L’imperatore romano, è noto, era anche un valente auriga ma in quell’occasione poco mancò che non ci rimettesse la vita. Cadde infatti dal cocchio ma dopo essere rotolato nella polvere fu in grado di riprendere la corsa e vincere.
Il nome di Nerone è inoltre legato a quello delle Olimpiadi perché ne alterò la periodicità quadriennale (ed è questo l’unico caso in tutta la loro storia) spostando dal 65 al 67 d.C. la 211° edizione dei Giochi. E questo perché altrimenti gli sarebbe stato impossibile parteciparvi in quanto impegnato a Roma nei Giochi Neroniani, che lui stesso aveva istituito nell’intento di imitare quelli Olimpici.
“Il disco usato a quei tempi aveva un diametro di ben 28 centimetri e pesava Kg 1.932 (anche se ne sono stati rinvenuti di diverso peso) contro i 22 centimetri e 2 chilogrammi di quelli odierni e si sa che il miglior lancio effettuato ad Olimpia fu di m. 28,17 (95 piedi) ed è di Faillo, famoso anche come saltatore. La tecnica di lancio non prevedeva il giro in pedana oggi in uso e l’attrezzo, che era di pietra, veniva lanciato da una piccola piattaforma.
Il giavellotto, di cui non si sa se venisse lanciato da fermo o con rincorsa, aveva al centro un piccolo cappio di cuoio (amentum) legato al centro di gravita in cui Scontista (“acontio” era il giavellotto) faceva passare l’indice ed il medio.

Angelo Ciofi