SEZIONE BARI
CICLISMO, QUNDO IL GIRO D’ITALIA FECE CAPOLINO A BARI
Alfredo Giovine
Il 2 giugno 1911, per la prima volta il Giro d’Italia faceva tappa a Bari.
La grande corsa era partita da Roma in occasione dell’Esposizione del Cinquantenario del Regno d’Italia. Un Giro di vivo interesse commerciale. Debuttava anche la Fiat con la sua “bicicletta del popolo” sperando di guadagnarsi la più grossa fetta di torta che la competizione dava all’industria ciclistica in vertiginosa espansione. Il Giro si arricchiva di interesse e curiosità a seguito di accese e partigiane tifoserie causate da rivalità fra corridori stranieri e italiani. Dortignacq aveva vinto una tappa l’anno prima e gli sportivi reclamavano la “riscossa” ad opera dei “tre moschettieri italiani” Galetti, Ganna e Pavesi. La “riscossa” ci fu ma i napoletani la ritennero all’acqua di rosa e di conseguenza i corridori furono accolti per le vie di Napoli con pernacchie e fischi passando sotto una pioggia di pomodori. Esagerazione di esagitati.
I giornali baresi, invece, trattarono il prestigioso avvenimento sportivo creando un’affascinante atmosfera di attesa. Anche gli sportivi dell’hinterland furono coinvolti nell’emozionante avvenimento e organizzarono gite per la tappa di Bari. Il banditore ebbe il suo da fare raccomandando a chi passasse per le vie del Giro di lasciare la strada libera ai corridori. Raccomandò pure un comportamento tale da non lasciare nei forestieri un cattivo ricordo di Bari.
Giunse finalmente il “mitico” 2 giugno del 1911. Esso sigillò l’arrivo della seconda tappa del 3° Giro d’Italia. Il carattesistico striscione di arrivo fu posto all’Estramurale a pochi metri dall’attuale sede della Regione Puglia. A Bari terminava una tappa di 363 massacranti chilometri che portò gli irriconoscibili corridori, autentici forzati del pedale, da Sulmona a Bari in circa 16 lunghe ore. Bari balzò d’un tratto alla ribalta della notorietà nazionale nelle cronache dello sport. Vennero mobilitate tutte le energie cittadine perché le aspettative degli organizzatori non andassero deluse.
Transennati lunghi tratti di strada, un notevole spiegamento di forze curò il mantenimento dell’ordine pubblico. In una tribuna d’onore pavesata a festa presero posto distinte signore ed autorità. Una folla enorme si riversò all’Estramurale fin dal mattino, pur essendo previsto l’arrivo per le ore 15. Ci vollero due ore per far sgombrare l’ultimo chilometro invaso da numerosi curiosi. Alle 17.38 l’auto de “La Gazzetta dello Sport”, come se fosse uscita da una gigantesca scatola di cipria marciò sobbalzando verso il traguardo lasciando dietro di sé un nuvolone di polvere. Un gruppetto di uomini con lo spolverino e occhiali appannati tenevano a bada sacchetti di vettovaglie, il traballante bidone di riserva della benzina e lo sballottolato barattolo di grasso appeso alla parte posteriore dell’auto. L’autista sembrava un marziano impolverato, continuamente con la mano inguantata alla pera di gomma del giallo e snodato serpente di ottone con la sua larga bocca a tromba sul parafango anteriore.
Episodi della tappa vennero diffusi e in un baleno corsero di bocca in bocca con i più coloriti commenti. Numerose cadute, molti incidenti meccanici e fughe a ripetizione avevano caratterizzato la corsa. Alle 18 si udì a distanza uno squillo di tromba, i corridori erano alle porte di Bari.
L’attesa si fece spasmodica. Ognuno cercava di non lasciarsi sfuggire le fasi conclusive della tappa. Ad un tratto un lontano agitar di braccia della folla coincise con alcuni punti scuri in lontananza che si avvicinavano. Si sentirono ordini concitati e imperiosi dei funzionari di polizia: “Arrivano, arrivano, state indietro”. Seguirono altri squilli di tromba. I punti scuri si avvicinavano. Non v’era più dubbio erano i ciclisti. Agenti e soldati spingevano energicamente ai lati della sede stradale gli indisciplinati. Uno stato di eccitazione pervase un po’ tutti. Ciascuno cercava la posizione migliore per non perdere il più emozionante momento della gara. I corridori visibilmente affaticati e curvi sui manubri premevano sui pedali facendo appello alle residue energie per lo sprint finale. Una decina di metri li separava dallo striscione d’arrivo. La moltitudine è tutta un urlo. Un corridore irriconoscibile si stacca con un guizzo dal terzetto di testa e sfreccia sul traguardo. Si sa subito che è Galetti, “lo scoiattolo dei navigli”, nome che passa sulla bocca di tutti. Nella convulsa volata aveva bruciato Beni e Pavesi. Sono esattamente le ore 18.1′ 3″. Accompagnati dai gioiosi evviva della folla, i ciclisti si portarono nel vicino stabilimento Mazzurana, apprestato a sede di tappa, dove firmarono il registro degli arrivi.
Galetti venne invocato a gran voce, ma il corridore alzò stancamente una mano, girò appena la testa in segno di saluto verso la folla plaudente e a bordo di un’auto della sua “casa” si allontanò seguìto da un codazzo di ragazzi inghiottiti da un nuvolone di polvere.
Gli ansanti e trafelati Ferri e Robotti posero termine agli arrivi a notte fonda e qualche ferito giunse con il treno all’1.10 per il ricovero in ospedale. La piccola città di allora fece le cose in grande alla carovana del Giro. Forse per questo gli organizzatori non trascurarono in seguito di considerare Bari sede di tappa per gli anni 1913, 1914, 1925 (anno in cui corse Alfonsina Strada, “Eva in bicicletta”), 1927, 1934, 1935, 1936, 1947, 1948, 1954, 1961, 1963, 1967, 1971, 1975, 1981 e 1987 e nel 1990, per la prima volta, il Giro è partito da Bari. Tornato in Puglia nel 2013 a Mola, 2014, tappa Giovinazzo-Bari; 2017 ad Alberobello e Molfetta, nel 2020 a Giovinazzo e nel 2021 a Foggia.
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