MARTINO DI SIMO, Consigliere Nazionale In attesa della svolta …o un cambio di rotta

DA “IL VETERANO”

Filo Diretto a cura di Prando Prandi intervista a:

MARTINO DI SIMO, Consigliere Nazionale

In attesa della svolta …o un cambio di rotta

Bisogna saper reagire alla emorragia di iscritti, senza piangersi addosso, senza invocare sempre come scusante la crisi economica, il crescente disinteresse verso l’associazionismo”

“Occorre trasformarci, progredire, guardare al futuro, pensare più che al passato a quelli che vengono dopo. Senza naturalmente dimenticarci che c’è una storia dietro di noi”

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Che ci fa un Toscano in Sicilia? Il quesito potrebbe essere d’obbligo considerando che, nonostante la lunga militanza nell’ambito dell’Unvs nell’Isola in qualità di socio in una sezione siciliana e proboviro (risiede vicino a Taormina) Martino Di Simo, settantatreenne lucchese d’origine, non tradisce l’accento toscano. Esso fa il paio con lo spirito battagliero che lo pone sempre a dire “pane al pane” e a mettere in evidenza innanzitutto ciò che a suo parere non gira nel verso giusto. Le caratteristiche per le quali in molti lo conoscono e lo apprezzano e molti innescano con lui positive discussioni.

“In Sicilia – dice Di Simo – sono da dieci anni. A fine settembre sono entrato nell’undicesimo anno di Unvs in questa regione. Ma nell’Associazione sono dal 1992-93. Una parentesi molto lunga che, purtroppo, pare destinata ad esaurirsi, perché entro due anni, per motivi di famiglia, mi trasferirò a Santo Domingo. La mia entrata in Unvs fu propiziata dal Presidente emerito Bertoni che mi nominò subito segretario della sezione di Lucca. Venivo dal mondo dell’automobilismo: da sportivo mi sono applicato nell’organizzare rallies. Ne ho organizzati 25 e devo dire che, forse per la mia maniacale precisione, non ho mai avuto incidenti gravi. Posso ritenermi fortunato, perché la responsabilità organizzativa era enorme, considerando che non c’erano le sicurezze e gli apparati dei giorni d’oggi. Poco conoscevo di questo ambiente che Bertoni mi fece scoprire ed apprezzare un po’ per volta. Soprattutto per quei valori nei quali ancor oggi in parte credo: in particolare l’amicizia. Ma in un ambiente sportivo come il nostro mi è sempre piaciuto poter fare qualcosa di nuovo, portando in questo contesto strutturato, in parte, anche le esperienze acquisite nel mondo dell’automobilismo. Certamente si tratta di due mondi completamente diversi. Avendo diretto per molto tempo la scuderia di Lucca che si è aggiudicata un gran numero di titoli italiani e dominava la scena, sono stato abituato a visioni più manageriali nella gestione delle cose. Sottolineando nel mio ruolo la mia vocazione imprenditoriale. Per puntare alla vittoria di così tanti campionati, mi impegnai nell’acquisti molto onerosi per la scuderia: già nel 1982 acquistai in Germania un Golf preparato dalla Volkswagen alla allora incredibile cifra di 180 milioni di lire. Per non dire di altre Golf ufficiali accaparrate attorno ai 100 milioni e ben cinque Rallies 205 gruppo N. Senza contare i furgoni per le assistenze e tutto quel che occorreva a gestire quella che era a tutti gli effetti una vera azienda orientata a contrastare lo strapotere della Jolly Club, allora massima espressione del rallismo italiano. Ammaestrato da tanta scuola ho cercato per molto tempo di trasferire il mio stile all’interno dell’Unvs, portando quel che avevo appreso, la mia visione. Debbo ammettere che non ci sono riuscito e ciò mi ha in parte deluso. Perché pur essendo una associazione basata sul volontariato, a mio avviso, la nostra entità deve configurarsi come una piccola impresa, con i suoi ruoli, le sue competenze, le responsabilità date a chi dirige. Nel mondo di oggi, a tutti i livelli, se non esiste una mentalità imprenditoriale nulla si può raggiungere. È forse questa la critica che io muovo alla nostra organizzazione. Personalmente, con l’elezione del nuovo Consiglio Direttivo, mi aspettavo – alla pari di molti altri soci – se non una svolta almeno un cambio di rotta. Richiesto a gran voce dalle sezioni, ben sapendo che si trattava dell’ultimo quadriennio a guida Bertoni e che sarebbe stata possibile una importante operazione di “svecchiatura” dei ranghi. Ma, dal mio punto di vista, questa svolta non c’è stata. La mia non vuole suonare come critica personale nei confronti di alcuno. Bisogna trasformarci, secondo una legge naturale della vita. Progredendo, guardando al futuro, pensando più che al passato a quelli che vengono dopo. Senza naturalmente dimenticarci che c’è una storia dietro di noi. Ma che bisogna saper offrire nuove proiezioni per sfuggire ad una crisi di soci che non è ahimè nuova. Arrivò già nel 1954, quando i Veterani fecero registrare una scissione. Bisogna saper reagire alla emorragia di iscritti, senza piangersi addosso, senza invocare sempre come scusante la crisi economica, il crescente disinteresse verso l’associazionismo, chiamando in causa la disaffezione agli autentici valori che ci ispirano. Nella mia azienda sono sempre stato abituato, quando c’era qualcosa che non andava, a non dare la colpa agli altri ma a cercare di migliorare all’interno. Dico che se una pianta ha la necessità di essere rinvigorita si eseguono spesso delle dolorose potature, necessarie per ripartire con rinnovato vigore, buttando via le parti più vecchie. Un paragone che calza anche con l’Unvs la cui storia è fatta da persone che meritano il nostro ringraziamento ma che debbono farsi da parte, lasciando spazio ai più giovani”.

La fresca nomina in Consiglio Direttivo di una donna vicepresidente, per giunta giovane come Francesca Bardelli, affiancata da Gianfranco Vergnano, anch’esso vicepresidente pieno di iniziative, può valere quale garanzia per un ricambio in atto?

“Dalle urne a Chianciano è uscito un nome nuovo certamente: una ragazza valida, capace, piena di entusiasmo. Sicuramente una buona mediatrice. Rileggendo la storia dell’Unvs si possono scoprire le ragioni di certe motivazioni ed il peso degli equilibri geografici. Dalla sua elezione nasce la voglia di rinnovo che si respira nell’Italia del centro”.

Quale toscano da dieci anni in trasferta in mezzo alle sezioni del Sud Italia, quale è il tuo pensiero sul modo di interpretare l’Unvs nel meridionale in particolare in Sicilia?

“Il Sud è molto singolare. All’indubbio calore umano e alla generosità di molti si contrappone una mentalità a volte un po’ chiusa, che rispecchia la mancanza a mio avviso del senso dell’associazionismo. Ciò si ravvisa nella enorme difficoltà a confermare il numero degli iscritti, nel dare corpo a nuove sezioni. Sarà forse perché la Sicilia è un’isola a volte tende ad isolarsi anche quando, con un pizzico di determinazione e voglia di collaborare l’un l’altro, si potrebbe puntare ad ottimi risultati. Non a caso i siciliani dicono varcando lo Stretto a Messina che dall’altra parte c’è l’Italia… Il mare insomma divide anche nel concepire vie nuove per costruire. Vie tortuose in Sicilia, che non portano alla nascita, per il momento, di nuove sezioni e non invogliano chi vorrebbe farlo, ad impegnarsi a fondo”.

In un quadro tutto sommato contraddistinto da ricordi e speranze, c’è qualcuno o qualcosa che t’è rimasto nel cuore?

Il buon Mangiarotti è stato un presidente eccellente. Mi è sempre stato d’aiuto con le sue idee, il suo esempio. Mi ha sempre voluto bene. Per me è stato un grande fonte di saggezza. Come del resto lo è stato Giovanni Bagaglia che nessuno oggi ricorda più, pur avendo dato davvero tanto all’Unvs. Era come me un battagliero, uno che proponeva delle idee con impegno, meritandosi a volte l’etichetta di “rompiscatole”. Ma, come tale, è stato destinato a non essere ricordato nel modo giusto”.