Da “la repubblica” Addio Edo, leggenda dei Giochi

SABATO 26 MAGGIO 2012

Da “la repubblica” 26 maggio 2012

Addio Edo, leggenda dei Giochi

Il racconto

È morto Mangiarotti, l’azzurro più vincente della storia

Aveva 93 anni Conquistò 13 medaglie da Berlino ’36 a Roma ‘60

di LEONARDO COEN

 Terrace Theather di Lon Beach,   agosto   1984 olimpiadi di Los Angeles La pedana della schema è montata sul palcoscenico, in un tripudio di velluti rossi. C’è persino qualcuno che indossa il costume di Cyrano di Bergerac.
In molti della litigiosa parrocchia che governa l’aristocratico mondo di questo sport storcono il naso: ma la legge dello sponsor Usa è più forte della tradizione. Il grande spadista Edoardo Mangiarotti non si lamenta. Anzi. Apprezzalo sforzo degli organizzatori americani, ne intuisce lo scopo, e pure il contesto californiano: «La scherma è arte, fatica bellezza, spettacolo dice —: gli schermidori, infondo, sono grandi attori, prima che imponessero il fioretto elettrico era tutta una. sceneggiata, ci si batteva all’ultima stoccata, e spesso le botte erano quasi simultanee, stoccate ritmo vertiginoso, così poi recitavamo davanti ai giudici come secondo noi si erano sviluppati gli attacchi, le parate e le risposte per condizionare i verdetti…».
Il sipario strappato è una deliziosa metafora, in sala ci son 2500 spettatori, i duelli lasciano pubblico col fiato sospeso, noi italiani vinciamo e quindi siamo protagonisti. E più di tutti, il pluricampione olimpico Mangiarotti, scomparso ieri, l’azzurro più medagliato della storia.
Camminava circondato sempre da giornalisti e telecamere per gli americani infatti era l’icona di uno sport anacronistico ma affascinante, assai hollywoodiano. Era, insomma, agli occhi della gente, uno Zorro vero, al pari quello del cinema imbattibile ed incredibile. E una carriera sportiva fantasmagorica: tredici medaglie olimpiche, di cui sei d’oro cinque d’argento e due di bronzo raccolte in un quarto di secolo guerra mondiale compresa, dai Giochi di Berlino 1936 grazie al lungimiranza di Nedo Nadi, il più formidabile schermidore italiano (trionfò 5 volte ad Anversa nel 1920, confermando l’oro di Stoccolma del 1912), sino a quelli Roma 1960 quando aveva già 41 anni ed era pure dirigente, in uno dei tanti momenti di crisi della Federscherma. Nel suo carniere c’è una sfilza di titoli mondiali (13 più 8 argenti e 5 bronzi), per non parlare di Universiadi, Giochi del Mediterraneo, titoli italiani, prestigiosi trofei come il Monald di Parigi che l’elegante Edo vinse tre volte dal ’48 al ’50: «La mia soddisfazione più grande, perché vinsi con formule di gara sempre diverse”. I transalpini inventavano regole per metterlo in difficoltà lui regolarmente li puniva nell’orgoglio e nella gloria.
Per i francesi che si consideravano — e continuano tuttora— veri depositali di questa “nobile arte”, Edoardo Mangiarotti era un “enfant prodige”, poiché sa­peva tirare magnificamente sia di spada che di fioretto, entrambe armi di punta, ma di filosofia as­sai diversa; era un formidabile “mancino costruito” (dal padre, grande maestro) e però sapeva destreggiarsi assai abilmente pu­re con la destra. Nel 1950 l’Equipe dedicò una pagina intera alla famiglia Mangiarotti, la dinastia milanese che aveva “accresciuto il fascino della scherma”. Papa Giuseppe, olimpionico nel 1908, Dario, il primogenito che pure poteva vantare un titolo olimpico e ben quattro ori mondiali (un terzo figlio, il cardiologo Mario, colse un argento mondiale, do­podiché si dedicò alla medicina). Di Edoardo si ammirava lo stile “di una straordinaria bellezza”. Irruenza, rapidità, precisione.
Gianni Brera, che lo volle capo rubrica alla Gazzetta dello Sport, sosteneva che era un atleta “di portentosa eccezione”. Il che spiega la straordinaria longevità agonistica (a Roma conquistò il sesto oro, nella spada a squadre: un commiato olimpico leggen­dario) Quando raccontava come aveva iniziato, rispondeva che il merito era tutto di suo padre: «Ho dovuto faticare molto perché mio padre, amico del mitico campio­ne francese Bodin, un mancino, ha voluto creare uno dei suoi figli simile all’amico. La sorte volle che fossi io il mancino costruito. Il che mi ha permesso di tirare an­che di destro». Di spada era velocissimo. Di fioretto, aveva quello che in gergo si dice “stile allinea­to” Passava di mano con analoga disinvoltura, il che sconcertava gli avversari: tuttavia il regola­mento impediva il cambio di ma­no durante lo stesso combattimento, ma lo consentiva da in­contro a incontro. Era la sua peculiarità.
Cercò di trasmettere ai suoi allievi l’idea che la scherma non poteva essere insegnata a tutti nello stesso modo, “come a tanti solda­tini di piombo”. Il maestro “deve essere un amico, un uomo che sa guidare il proprio allievo, se ne ha le capacità, anche nella vita”. La vita di Edoardo Mangiarotri era di “vasta probità”, come molti pos­sono testimoniare. Un signore. Amava citare, con ironia, il mae­stro di Scaramouche: «La spada è una rondine, se la stringi troppo la soffochi, se la allenti vola via». La spada vittoriosa di Mangiarotti non è mai volata via: da otto anni è in una teca del museo olimpico di Losanna. In perenne en garde!

Hanno scritto:

L’arte
La scherma è arte, fatica bellezza, spettacolo. Gli schermidori sono grandi attori. Ai miei tempi era tutta una sceneggiata fino all’ultima stoccata
La rondine
II maestro deve saper guidare l’allievo anche nella vita. La spada è una rondine: se la stringi troppo la soffochi, se la allenti vola via
Irruento
Irruento, rapido, elegante e preciso.
Napolitano: “Un esempio per tutti i giovani”

CHI ERA
MILANESE
Edoardo Mangiarotti, nato a Renate in Brianza 93 anni fa, è stato il più grande schermidore del mondo. Ha vinto con spada e fioretto 13 titoli mondiali (più 8 argento e 5 bronzi), 13 medaglie olimpiche (6 ori, 5 argenti e 2 bronzi) e 3 Universiadi.