SABATO 26 MAGGIO 2012
Sen’è andato iI nostro D’Artagnan
Da LA GAZZETTA DELLO SPORT 26 Maggio 2012
Nessun azzurro ha vinto più medaglie alle Olimpiadi dello schermidore figlio d’arte
Fu lanciato a soli 17 anni da Nedo Nadi. E’ stato presente a 17 edizioni dei Giochi
DI CLAUDIO GREGORI
Edoardo Mangiarotti era D’Artagnan. Un moschettiere valoroso. Ha combattuto sulle pagine di quel romanzo arduo e stupendo che è la vita. Ha raccolto più vittorie di tutti: 18 medaglie d’oro tra Olimpiadi e Mondiali. Un medagliere che desterebbe l’ammirazione di Alexandre Dumas.
La sua arma era la spada. L’arma della «singolar tenzone», del «giudizio di Dio», la «spada di Damocle», l’arma della «chanson de geste» e delle leggende, dei duelli, che affascinò Salgari e Marinettì, D’Annunzio e Mussolini, Menni e Ungaretti, in un mondo che si lasciava ancora incantare dal bagliore di una lama. Il duello, per un uomo d’onore, era un momento importante e, a volte, fatale. Mangiarotti non lo ha fatto mai.
Fu sfidato per due volte. La prima negli Anni Cinquanta, quando, — era con la moglie a Milano sulla sua Aprilia—toccò col paraurti la macchina di un automobilista focoso, che gli disse: «Riceverà i miei padrini».
Quando gli diede il biglietto da visita, scoprì che era un socio della Società del Giardino, allievo di suo padre: tutto fini col botto di una bottiglia di champagne. La seconda, negli Anni Sessanta, fu quando il Coni lo premiò con la qualifica di «campione eccelso». Quella volta Aldo Nadi da Los Angeles rimandò le sue medaglie al Coni, sostenendo che il fratello Nedo era ben più degno di quell’onore. Mangiarotti replicò che era un premio per i vivi e che, se Nedo fosse stato in vita, avrebbe avuto quel riconoscimento che meritava. Ciro Verratti venne a dirgli che Aldo, 66 anni, offeso, lo sfidava a duello alla pistola in un’isola delle Antille. Rispose: «Mangiarotti non ha mai praticato il tiro al piccione».
Mangiarotti ha combattuto solo in pedana. Per lui la scherma era arte pura. Aveva la tecnica, lo scatto, la parata, la classe. Secondo l’olimpionico Marcelle Bertinetti «Edoardo è lo stilista impareggiabile, che può raggiungere, quando è in stato di grazia, momenti e sviluppi schermistici incantevoli». Adolfo Cotronei lo ha definito «un atleta di incomparabile finezza, capace di tenere a bada qualsiasi campione e di insegnare cosa sia la grazia e la forza nello slancio consapevole del combattimento». È stato protagonista di 5 Olimpiadi. Esordì ai Giochi di Berlino ’36 e chiuse con quelli di Roma ’60. Ha collezionato 13 medaglie olimpiche, 6 d’oro. Più di tutti i campioni che l’Italia abbia mai avuto.
Figlio d’arte, aveva la scherma nei geni. Suo padre Giuseppe, figlio dell’avv.. Carlo Mangiarotti di Broni e della cantante lirica Adelina Stenle, cara a Verdi, convertito alla scherma dal barone Lancia di Brolo, era il caposcuola della spada italiana. Educò in modo severo i 3 figli: Dario, Edoardo e Manlio. Cominciarono a tirare da bambini, a 8 anni. La sala di scherma, che era in via Solferino, ma anche il nuoto, il salto alla corda, la boxe, la bicicletta. «Un giorno papa ci impose un giro in bici di oltre mille chilometri, col sacco in spalla, attraverso i passi alpini, dallo Stelvio al Pordoi», raccontò Edoardo. «Per la boxe ci affidò a Boine, che era campione italiano, e al grande Erminio Spalla. Le buscavo sempre dai miei fratelli. Allora mi allenai in segreto. Poi attaccai lite e li sorpresi».
Edoardo era un destro naturale. Ma papa lo trasformò in mancino: voleva che assomigliasse al fuoriclasse francese Lucien Gaudin. Fu Nedo Nadi a lanciarlo sulla scena olimpica che aveva solo 17 anni. Per la prova di spada a squadre puntò su di lui: lasciò a casa Dario che aveva 4 anni di più ed era campione d’Italia. Contro la Francia Edoardo sconfisse Pescheux 3-0, Cattiau 3-0, Dulieux 3-0 e fece 3-3 con Schmetz, l’unico con l’impugnatura anatomica. Fu l’oro più bello, anche perché subì solo 3 stoccate. Visse quei Giochi ad occhi aperti. Era sotto la tribuna di Hitler quando Owens vinse il lungo, battendo Luz Longe, 63 anni dopo, ci raccontò: «Ricordo come fosse ora che il Fùhrer imprecò: “Schwein!”, “Maiale!”, si alzò e lasciò lo stadio».
Helsinki L’unico oro olimpico individuale lo conquistò a Helsinki ’52 nella spada e fu doppiamente prezioso perché secondo fu Dario. Edoardo, anzi, dovette assistere, trepidando, all’ultimo drammatico incontro tra il fratello e il lussemburghese Buck. Se Dario avesse perso, sarebbe andato allo spareggio per l’oro con Buck. Ma Bario vinse, gli diede l’oro e conquistò l’argento.
Amarezza Tra le sue 13 medaglie una fu per lui amara, il bronzo nella spada individuale a Melbourne. Arrivò al barrage con Pavesi e Delfino. Sconfisse Pavesi, che poi ebbe l’oro, poi, con Delfino, in una parata portò il ferro fuori dalla pedana e il giudice gli diede la stoccata. Lo considerò un oro andato in fumo. Mangiarotti è stato presente a 17 Olimpiadi, come atleta, capo-delegazione, delegato e, poi, segretario generale della Fédération International d’Escrime, giornalista della Gazzetta. Un orgoglio d’Italia. Portabandiera a Melbourne ’56 e Roma ’60. Ha dedicato la sua vita alla scherma. Anche la figlia Carola è stata pari al nome partecipando a due Olimpiadi. Mangiarotti ha fatto grande Milano. La sua spada ha regalato bagliori. Era una spada magica
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